Media Mente

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Trasmissione televisiva e telematica sui problemi della comunicazione / Educazione al digitale / Digital Library

domenica 20 maggio 2012

Domani .. "non siamo così soli"

Brindisi/ bombe contro scuola: morta 16enne."E' stata una strage" - Un'altra ragazza grave. Bombole gpl su muro azionate a distanza

Brindisi, 19 mag. (TMNews) - Tre ordigni artigianali azionati da un dispositivo a distanza, forse un telecomando, sono deflagrati sabato mattina davanti alla scuola Morvillo Falcone di Brindisi, uccidendo una 16enne, Melissa Bassi, e ferendo altri ragazzi. Un'altra 16enne, Veronica Capodieci, è stata operata all'ospedale Perrino e poi trasferita al Vito Fazzi di Lecce. La giovane studentessa è stata sottoposta a un delicato intervento chirurgico nel quale i medici le hanno ricostruito la parete addominale e la gabbia toracica. La 16enne era accanto a Melissa al momento dell'esplosione.

"Un'altra delle pazienti ricoverate è stata sottoposta a intervento chirurgico da parte degli ortopedici e dei chirurghi plastici in quanto presenta ustioni, perdita di sostanza e fratture", si legge nel bollettino medico del direttore sanitario dell'Asl Brindisi, Graziella Di Bella. Le sue condizioni sono gravi ma stabili. "Un altra paziente - ha riferito la dottoressa - è attualmente in sala operatoria per un intervento alle gambe". Sono in tutto cinque le persone ricoverate nell'ospedale Perrino.

"E' stata una strage, non un atto intimidatorio. Mia figlia è una miracolata, ustionata ma viva". Così il padre di una delle ragazze rimaste ferite. "Non capisco perché hanno voluto fare del male a dei ragazzi - ha detto l'uomo - mia figlia si è salvata perché si è allontanata dal gruppo per andare a parlare con un ragazzo. E' tutta bruciata, il viso, i capelli, il corpo, le è scoppiato il telefonino in mano, ma si è salvata". Un'altra sopravvissuta e compagna di classe di Melissa ha raccontato di aver assistito alla terribile esplosione dai vetri del bar di fronte. "Ero appena entrata al bar. Non sappiamo se torniamo a scuola, senza Melissa mancherà un pezzo fondamentale della classe".

I primi rilievi della scientifica e degli artificieri sul luogo dell'attentato a Brindisi hanno confermato la presenza di tre bombole di gpl nascoste forse dentro un cassonetto, che si è poi disintegrato dietro un muretto di fronte all'istituto scolastico femminile.
Stando agli accertamenti, qualcuno, a cui polizia e carabinieri stanno dando la caccia, intorno alle 7:45 avrebbe spinto il tasto di un telecomando a distanza per innescare la terribile esplosione. Il movente è ancora da accertare. Questo per gli inquirenti è un dato importante: il tipo di bombole utilizzato sarebbe il segnale di un attentato premeditato in tutti i dettagli. Si voleva colpire proprio quella scuola. Importanti potrebbero essere adesso le testimonianze di chi ha assistito alla strage.

Il capo dello Stato Napolitano ha espresso "partecipe vicinanza ai familiari delle vittime, ai feriti e all'intera collettività brindisina". Il ministro Cancellieri ha invitato alla prudenza sull'individuazione della matrice dell'attentato: "Non abbiamo elementi per poterlo dire con certezza, ma la tipologia dell'attentato non è tipica di un attentato di mafia. Lo Stato c'è, ed è compatto e deciso. Monti è costantemente informato, addolorato e partecipe". Orrore è stato espresso anche dal ministro Severino che ha parlato di "sofferenza vera, tragedia nazionale".

Né Sacra Corona unita né la mafia siciliana "uccidono in questo modo e neanche le aree antagoniste, dalle Br a estrema destra. Nessuno si è mai spinto a questa tipologia di agguato", così il capo della polizia, Antonio Manganelli, per il quale la pista passionale "è poco verosimile".

Dal canto suo, il segretario nazionale dell'associazione nazionale funzionari di polizia, Marco Letizia, ha detto che secondo lui l'esplosione risponderebbe a una "logica terroristica". "Si vuole spaventare la gente, creare disordine, alimentare incertezza e instabilità, perciò è imperativo non farsi intimorire mantenendo salda la coesione civile e democratica di questo Paese".

Sono tante le ipotesi al vaglio degli investigatori. Tre le piste principali battute dagli inquirenti, la criminalità organizzata, la pista terroristica e il gesto isolato e sconsiderato di un folle. Potrebbe esserci infatti anche la criminalità organizzata dietro l'esplosione. Gli inquirenti non escludono legami con un altro attentato avvenuto a Mesagne, la notte tra il 4 e 5 maggio, quando è stata danneggiata da una bomba la macchina del presidente dell'associazione antiracket. Tra l'altro oggi era in programma a Brindisi il passaggio della carovana antimafia. Il 9 maggio la polizia sempre a Mesagne ha smantellato un'organizzazione mafiosa legata alla Sacra Corona Unita. Sedici persone sono finite in carcere per associazione mafiosa, estorsione e droga. Le indagini però sono soltanto all'inizio.

Non si esclude nemmeno il gesto sconsiderato di un folle: un'azione dimostrativa premeditata per attirare l'attenzione sulla scuola e su Brindisi. In Puglia arrivano gli uomini dello Sco che aiuteranno un pool di investigatori a ricostruire la matrice di questo episodio. Rimane un fatto unico nella storia del Paese.

Fonte: http://www.tmnews.it/web/sezioni/news/PN_20120519_00183.shtml

domenica 6 maggio 2012

Informazioni bis

Per la teoria ipodermica  ciascun individuo è un atomo isolato che reagisce da solo agli ordini e alle suggestioni dei mezzi di comunicazione di massa monopolizzati. La teoria dell’azione, elaborata dalla psicologia behaviorista, studia il comportamento umano attraverso l’esperimento e l’osservazione. L’unità stimolo/risposta esprime gli elementi di ogni forma di comportamento. Indubbiamente, questa teoria dell’azione era bene integrabile con le teorizzazione sulla società di massa: lo stimolo, nel suo rapporto con il comportamento, è la condizione primaria, o l’agente, della risposta. Però la descrizione della società di massa ha contribuito da parte sua ad accentuare la semplicità del modello S  R (Stimolo  Risposta). A determinare l’ampiezza e la qualità della risposta, sono decisivi da un lato il contesto in cui si verifica lo stimolo e dall’altro le precedenti esperienze che di esso i soggetti hanno fatto. Proprio questi due fattori, tuttavia, venivano trattati dalla teoria della società di massa in modo tale da enfatizzare l’immediatezza, la meccanicità e l’ampiezza degli effetti. Legata strettamente ai timori suscitati dall’“arte di influenzare le masse”, la teoria ipodermica – bullett theory – sosteneva dunque una connessione diretta tra esposizioni ai messaggi e comportamento: se una persona è raggiunta dalla propaganda, può essere controllata, manipolata, indotta ad agire. Il modello di Lasswell (1948) spiega che: “un modo appropriato per descrivere un atto di comunicazione è rispondere alle seguenti domande: chi – dice cosa – attraverso quale canale – a chi – con quale effetto? Lo studio scientifico del processo comunicativo tende a concentrarsi su uno o l’altro di tali interrogativi”. Ognuna di queste variabili definisce e organizza un settore specifico della ricerca. La formula di Lasswell è divenuta ben presto una vera e propria teoria della comunicazione, in stretto rapporto con l’altro modello comunicativo dominante nella ricerca, cioè la teoria dell’informazione. Lasswell implica alcune premesse forti circa i processi di comunicazione di massa: a) tali processi sono esclusivamente asimmetrici, con un emittente attivo che produce lo stimolo e una massa passiva di destinatari che, colpita dallo stimolo, reagisce; b) la comunicazione è intenzionale ed è rivolta ad uno scopo, a ottenere un certo effetto, osservabile e misurabile. Due conseguenze: l’analisi del contenuto si propone come lo strumento per inferire gli scopi di manipolazione degli emittenti; gli unici effetti che tale modello rende pertinenti sono quelli osservabili, legati cioè a cambiamenti nel comportamento; c) i ruoli di comunicatore e destinatario appaiono isolati, indipendenti dai rapporti sociali. Gli effetti riguardano destinatari atomizzati, isolati. Lo schema di Lasswell ha organizzato la nascente communication research intorno a due dei suoi temi centrali e di maggior durata: l’analisi degli effetti e l’analisi dei contenuti Se per la teoria behaviorista l’individuo sottoposto agli stimoli della propaganda poteva solo rispondere senza resistenza, gli sviluppi successivi della communication research convergono nell’esplicitare che l’influenza delle comunicazioni di massa è mediata dalle resistenze che i destinatari attivano in vario modo. Lo schema lasswelliano è riuscito a proporsi come paradigma per entrambe queste opposte tendenze di ricerca. Il passaggio alle teorie successive avviene lungo alcune linee proprie della teoria ipodermica. Da un lato si selezionavano alcuni indicatori e variabili per capire l’agire di consumo dell’audience, dall’altro si andavano accumulando le evidenze empiriche che tale consumo era selezionato, non indifferenziato. Quando la teoria ipodermica ha smesso di essere soprattutto un presagio e una descrizione di effetti temuti, e si è trasformata in un concreto paradigma di ricerca, i suoi stessi presupposti hanno dato luogo a risultati che ne contraddicevano l’impostazione di fondo. Il superamento e il rovesciamento della teoria ipodermica è avvenuta lungo tre direttrici: la prima e la seconda centrate su approcci empirici di tipo psicologico-sperimentale e di tipo sociologico; la terza direttrice rappresentata dall’approccio funzionale alla tematica complessiva dei mass media, in sintonia con l’affermarsi a livello sociologico generale dello struttural-funzionalismo. L’approccio sperimentale conduce all’abbandono della teoria ipodermica parallelamente all’approccio empirico sul campo. Risulta veramente difficile dare conto esaustivamente di questo ambito di studi psicologici sperimentali poiché esso appare molto frammentato. Questi studi hanno sì rappresentato un superamento della teoria ipodermica, ma sono anche continuati successivamente. Essi costituiscono un settore “autonomo” della communication research. La “teoria” dei media risultante dagli studi psicologici sperimentali consiste soprattutto nella revisione del processo comunicativo inteso come un rapporto meccanicistico e immediato tra stimolo e risposta. L’approccio è mirato allo studio dell’efficacia persuasoria ottimale dei media, e allo studio dell’insuccesso dei tentativi di persuasione. Teoria delle differenze individuali – I messaggi dei media contengono particolari caratteristiche dello stimolo che interagiscono in maniera differente con i tratti specifici della personalità dei membri che compongono il pubblico (DeFleur, 1970). Due coordinate: 1) studi sui caratteri del destinatario, che mediano la realizzazione dell’effetto; 2) ricerche sull’organizzazione ottimale dei messaggi a fini persuasori. Causa (stimolo)  processi psicologici intervenienti  effetto (risposta) Questo tipo di teoria studia prevalentemente gli effetti dei media in una situazione di “campagna”. I fattori relativi all’audience – in questo ambito la frammentazione delle ricerche rende pressoché impossibile dare un’illustrazione esauriente. 4 caratteristiche psicologiche dell’audience: 1) Interesse ad acquisire informazione: non tutte le persone rappresentano un uguale bersaglio per i media. C’è qualcosa nei non-informati che li rende difficili da raggiungere (scarsezza di interesse e di motivazione per certi temi, difficoltà di accesso all’informazione stessa…). Più la gente è esposta a un dato argomento più aumenta l’interesse, fermo restando l’interesse iniziale verso l’argomento della campagna. 2) Esposizione selettiva: il rapporto positivo esistente tra le opinioni dei soggetti e ciò che essi scelgono di ascoltare o leggere. I componenti dell’audience tendono a esporsi all’informazione congeniale alle loro attitudini e a evitare messaggi che sono invece difformi. Le campagne di persuasione sono ricevute soprattutto da individui che sono già d’accordo con le opinioni presentate. 3) Percezione selettiva: i meccanismi psicologici che intervengono a ridurre potenziali fonti di tensione eccessiva e di dissonanza cognitiva influenzano notevolmente il processo di percezione del contenuto delle comunicazioni di massa. Effetti di assimilazione  il destinatario percepisce le opinioni espresse nel messaggio come più prossime alle sue di quanto non sono in realtà. Devono agire anche altre condizioni (campo di accettazione): a) differenza non eccessiva tra le opinioni del soggetto e quelle dell’emittente; b) scarso coinvolgimento del soggetto; c) atteggiamento positivo verso il comunicatore. Il campo di rifiuto definisce le condizioni opposte a quelle sopra citate, e determina una percezione del messaggio come “propagandistico” e “inaccettabile”. 4) Memorizzazione selettiva: gli aspetti coerenti con le proprie opinioni e attitudini sono memorizzati in misura più rilevante degli altri e questa tendenza si accentua a mano a mano che passa il tempo dalla esposizione al messaggio. Effetto Bartlett  nel corso del tempo la memorizzazione seleziona gli elementi più significativi per il soggetto, a scapito di quelli più difformi o culturalmente distanti. Effetto latente (sleeper effect)  mentre subito dopo l’esposizione al messaggio, l’efficacia persuasoria risulta quasi nulla, col passare del tempo essa risulta aumentata. I fattori legati al messaggio – questo tipo di ricerca verte in modo particolare su 4 fattori del messaggio: 1) La credibilità del comunicatore: se misurato subito dopo la fruizione del messaggio, il materiale attribuito ad una fonte credibile produce un mutamento di opinione significativamente maggiore di quello attribuito ad una fonte poco credibile. Se invece la misurazione avviene dopo un certo intervallo di tempo entra in scena l’effetto latente e l’influenza della credibilità della fonte ritenuta non attendibile diminuisce a mano a mano che sfuma l’immagine della fonte stessa e la sua non credibilità, consentendo quindi un maggior apprendimento e una maggior assimilazione dei contenuti. 2) L’ordine delle argomentazioni: effetto primacy  viene verificata la maggior efficacia degli argomenti iniziali; effetto recency  risultano più influenti gli argomenti terminali. Legge della primacy  la persuasione viene influenzata maggiormente dagli argomenti contenuti nella prima parte del messaggio. 3) La completezza delle argomentazioni: una ricerca di Hovland-Lumsdaine-Sheffield (1949) ha lo scopo di individuare la forma persuasiva più adeguata per convincere i soggetti. I risultati sono i seguenti: a) Presentare gli argomenti di entrambi i lati di un tema risulta più efficace che non fornire solo gli argomenti relativi allo scopo di cui si vuol convincere nel caso di persuasione che inizialmente erano del parere opposto a quello presentato. Per le persone già convinte è valido il contrario. b) I soggetti più istruiti sono più favorevolmente influenzati dalla presentazione di entrambi i lati della questione. Per i meno istruiti è valido il contrario. c) L’omissione di un argomento rilevante è fortemente percepibile (negativamente). 4) L’esplicitazione delle conclusioni: quanto maggiore è il coinvolgimento, tanto più utile è lasciare le conclusioni implicite. Raffrontata alla teoria ipodermica, la teoria dei media che si lega alle ricerche psicologiche-sperimentali ridimensiona la capacità indiscriminata dei mezzi di comunicazione di manipolare il pubblico. L’approccio empirico sul campo o “degli effetti limitati” è di orientamento sociologico. Se la teoria ipodermica parlava di manipolazione o propaganda, e se la teoria psicologica-sperimentale si occupava di persuasione, questa teoria parla di influenza. Il “cuore” della teoria mediologica legata alla ricerca sociologica sul campo consiste nel connettere i processi di comunicazione di massa alle caratteristiche del contesto sociale entro cui essi si realizzano. Due filoni di ricerca: 1. studio della composizione differenziata dei pubblici e dei loro modelli di consumo di comunicazioni di massa; 2. ricerche sulla mediazione sociale che caratterizza tale consumo. Lo studio di Lazarsfeld sulla radio (1940) analizza il ruolo svolto dalla radio nei confronti dei diversi tipi di pubblico. Secondo Lazarsfeld, ci sono tre modi diversi per conoscere ciò che un programma significa per il pubblico. Analisi del contenuto: la procedura consente delle inferenze su ciò che gli ascoltatori traggono dal contenuto. Caratteristiche degli ascoltatori: se un programma è ascoltato prevalentemente da un gruppo sociale piuttosto che da altri, è possibile comprendere la natura del suo richiamo. Studi sulle gratificazioni: alle persone si può chiedere direttamente ciò che per esse il programma significa e le loro risposte possono costituire un punto di partenza per ulteriori ricerche. Lazarsfeld parla di effetti pre-selettivi e di effetti successivi. L’analisi dei fattori che spiegano le preferenze di consumo per un certo mezzo si connette quindi strettamente all’analisi della stratificazione dei gruppi sociali. Per comprendere le comunicazioni di massa occorre focalizzare l’attenzione sul più ampio ambito sociale in cui esse operano e di cui fanno parte. Shils e Janowitz (1948): l’efficacia dei mass media è analizzabile soltanto entro il contesto sociale in cui essi agiscono. La teoria degli effetti limitati sposta dunque l’accento da un nesso causale diretto tra propaganda di massa e manipolazione dell’audience a un processo mediato di influenza in cui le dinamiche sociali si intersecano con i processi comunicativi. Il capostipite di tali studi (Lazarsfeld-Berelson-Gaudet) ha lo scopo di individuare motivi e modalità con cui si formano le attitudini politiche nello sviluppo della campagna presidenziale del 1940. I risultati per i quali questo processo è rimesto nella storia della communication research – cioè la scoperta dei leader d’opinione e il flusso di comunicazione a due livelli – sono elementi parziali entro fenomeni più vasti. Leader d’opinione  individui molto coinvolti e interessati al tema e dotati di più conoscenze su di esso. Essi rappresentano quella parte di opinione pubblica che cerca di influenzare il resto dell’elettorato. L’effetto complessivo della campagna elettorale nella sua interezza procede in tre direzioni: effetto di attivazione (trasforma le tendenze latenti in effettivo comportamento di voto) effetto di rafforzamento (preserva le decisioni prese, evitando mutamenti nelle attitudini) effetto di conversione ( si realizza mediante una ridefinizione del problema) Il flusso di comunicazione a due stadi (two-step flow of communication) è determinato appunto dalla mediazione che i leader svolgono tra i media e gli altri individui del gruppo. Al di sopra e al di là della leadership d’opinione ci sono le reciproche interazioni dei componenti del gruppo, che rafforzano le attitudini ancora non precisate di ciascuna persona. Nella dinamica che produce la formazione dell’opinione pubblica, il risultato complessivo deriva dalla rete di interazioni che lega le persone le une alle altre. Gli effetti dei media si realizzano come parte di un processo più complesso che è quello dell’influenza personale. L’influenza personale che si svolge nei rapporti intersoggettivi appare più efficace di quella che deriva direttamente dai media. Il leader d’opinione di tipo locale esercita inoltre influenze su diverse sfere tematiche, è – come dice Merton – polimorfico. Un orientamento opposto caratterizza il leader cosmopolita: qualitativo e selettivo nella rete dei suoi rapporti personali, ha vissuto gran parte della sua vita fuori dalla comunità in cui è arrivato quasi come uno “straniero”. La teoria dei media legata all’approccio sociologico empirico sostiene che l’efficacia della comunicazione di massa è largamente connessa a e dipendente da processi di comunicazione non mediale interni alla struttura sociale in cui vive l’individuo. Se da un lato nello studio di Merton si sottolinea che il processo di influenza personale scorre anche orizzontalmente, dall’altro lato studi successivi hanno ipotizzato che le catene di influenza siano più lunghe e articolate di quanto l’iniziale ipotesi del flusso a due livelli non facesse pensare. Inoltre rispetto ad ambiti tematici diversi, influenzati e influenti possono scambiarsi reciprocamente i ruoli. L’ipotesi del flusso comunicativo a due livelli presuppone una situazione comunicativa caratterizzata da una bassa diffusione di comunicazione di massa, assai differente da oggi. La situazione attuale presenta invece livelli di quasi saturazione nella diffusione dei media. La situazione comunicativa è articolata assai diversamente nei due approcci (psicologica-sperimentale e sociologica sul campo) e ciò provoca il differente configurarsi del processo stesso degli effetti. Alcuni elementi che definiscono il processo comunicativo mutano significativamente da una situazione all’altra: per esempio, la stessa definizione di esposizione al messaggio è diversa. Nella situazione sperimentale i soggetti del campione sono tutti ugualmente esposti alla comunicazione; nella situazione naturale della ricerca sul campo, invece, l’audience è limitata a coloro che si espongono volontariamente alla comunicazione. Una seconda rilevante differenza tra i due metodi riguarda il tipo di tema o di argomento su cui si valuta l’efficacia dei media. Nell’esperimento di laboratorio sono studiate essenzialmente alcune condizioni o fattori di cui si vuole verificare l’impatto sull’efficacia della comunicazione. Al contrario, la ricerca sul campo riguarda gli atteggiamenti dei soggetti su temi più significativi e radicati profondamente nella personalità dell’individuo. Le divergenze tra i risultati sugli effetti dei media vanno ricondotte quindi principalmente a una “diversa definizione della situazione comunicativa”. C’è una specie di ciclicità nella presenza e nel ritorno di alcuni “climi d’opinione” sul tema della capacità dei media di influenzare il pubblico. Tale ciclicità è legata alle trasformazioni della società. La teoria funzionalista delle comunicazioni di massa – in questo caso il quadro interpretativo sui media si rifà esplicitamente e programmaticamente a una teoria sociologica assai complessa quale lo struttural-funzionalismo. Il rilievo più significativo è rivolto ad esplicitare le funzioni svolte dal sistema delle comunicazioni di massa: l’interrogativo non è più sugli effetti, ma sulle funzioni svolte dai media nella società. Le funzioni analizzate sono legate alla presenza normale dei media nella società. Il punto è: definire la problematica dei media a partire dal punto di vista della società e del suo equilibrio. Il sistema sociale nella sua globalità viene inteso come un organismo, le cui diverse parti svolgono delle funzioni di integrazione e di mantenimento del sistema. Il suo equilibrio e la sua stabilità si realizzano attraverso i rapporti funzionali che gli individui e i sottosistemi attivano nel loro complesso. Vi sono 4 problemi fondamentali cui ogni sistema sociale deve far fronte: 1. la conservazione del modello e il controllo delle tensioni; 2. l’adattamento all’ambiente; 3. il perseguimento dello scopo; 4. l’integrazione.
Ogni struttura parziale ha una funzione se contribuisce alla soddisfazione di uno o più bisogni di un sottosistema sociale. Un sottosistema specifico è composto da tutti quegli aspetti della struttura sociale globale che risultano rilevanti rispetto a uno dei problemi funzionali fondamentali. manifeste  volute e riconosciute Funzioni latenti  né riconosciute né coscientemente volute La società è analizzata come un sistema complesso, che tende al mantenimento dell’equilibrio (omeostasi), composto di sottosistemi funzionali, ciascuno dei quali è preposto alla soluzione di uno dei problemi fondamentali del sistema nella sua interezza. Wright: struttura concettuale dei rapporti tra media e società. L’obiettivo è quello di articolare 1. le funzioni e 2. le disfunzioni 3. latenti e 4. manifeste delle trasmissioni 5. giornalistiche 6. informative 7. culturali 8. di intrattenimento rispetto 9. alla società 10. ai gruppi 11. all’individuo 12. al sistema culturale (Wright, 1960) L’”inventario” delle funzioni si correla a quattro tipi di fenomeni comunicativi diversi: a) l’esistenza del sistema globale dei mass media in una società; b) i tipi di modelli specifici di comunicazione legati a ciascun mezzo particolare; c) l’assetto istituzionale e organizzativo con cui i diversi media operano; d) le conseguenze che derivano dal fatto che le principali attività di comunicazione si svolgono attraverso i media. In rapporto all’individuo sono identificate altre tre funzioni; a) l’attribuzione di status e prestigio alle persone e ai gruppi fatti oggetto di attenzione da parte dei media; b) il rafforzamento del prestigio per coloro che si conformano alla necessità e al valore socialmente diffuso di essere cittadini bene informati; c) il rafforzamento delle norme sociali, cioè una funzione eticizzante. L’esposizione a grandi quantità di informazione può causare la cosiddetta disfunzione narcotizzante: “il cittadino interessato giunge a confondere il conoscere i problemi del giorno col fare qualcosa in proposito […] da partecipazione attiva a conoscenza passiva” (Lazarsfeld, Merton). I mezzi di comunicazione di massa contribuiscono al mantenimento di questo sistema. Un settore di analisi specifico è stato direttamente influenzato e significativamente influenzato dal paradigma funzionalista: è lo studio degli effetti dei media noto come ipotesi degli “usi e gratificazioni” Usi e gratificazioni – L’effetto della comunicazione di massa è inteso come conseguenza delle gratificazioni ai bisogni sperimentate dal ricevente: i media sono efficaci se e quanto il ricevente attribuisce loro tale efficacia. Il ricevente “agisce” sull’informazione che gli è disponibile e la “usa”. Da questo punto di vista il destinatario diventa, però, un soggetto comunicativo a pieno titolo. Emittente e ricevente sono entrambi partner attivi nel processo di comunicazione. L’ipotesi degli usi e gratificazioni si inserisce anche nel movimento di revisione e di superamento dello schema informazionale della comunicazione. Lasswell (1948)  tre funzioni principali svolte dalla comunicazione di massa: 1. fornire informazioni; 2. fornire interpretazioni per rendere significative e coerenti le informazioni; 3. esprimere i valori culturali e simbolici propri dell’identità e della continuità sociale. Wright (1960) ne aggiungerà poi una quarta, quella di intrattenere lo spettatore. Katz, Gurevitch, Haas (1973) individuano cinque classi di bisogni che i mass media soddisfano: a) bisogni cognitivi; b) bisogni affettivi-estetici; c) bisogni integrativi a livello della personalità; d) bisogni integrativi a livello sociale; e) bisogni di evasione. Il contesto sociale in cui vive il destinatario può correlarsi con le classi di bisogni che favoriscono il consumo di comunicazioni di massa. L’ipotesi degli usi e gratificazioni considera l’insieme dei bisogni del destinatario come una variabile indipendente per lo studio degli effetti. Nella particolare situazione di guerra, l’informazione televisiva serve anche al bisogno di sostenere il sentimento di unità nazionale (Katz-Peled 1974). Un’altra ricerca (Katz-Gurevitch-Haas, 1973) mette in evidenza che i media sono utilizzati dagli individui in un processo volto a rafforzare (o indebolire) un rapporto con un referente che può essere di volta in volta l’individuo stesso, la famiglia, il gruppo amicale, le istituzioni (es.: i libri e il cinema soddisfano i bisogni di autorealizzazione, aiutando l’individuo nei rapporti con se stesso, mentre giornali radio e televisione servono a rafforzare i legami tra individuo e società). L’ipotesi degli usi e gratificazione implica uno spostamento dell’origine dell’effetto dal solo contenuto del messaggio all’intero contesto comunicativo. L’attività selettiva e interpretativa del destinatario entra a far parte stabile del processo comunicativo, costituendone una componente ineliminabile. Una caratteristica metodologica della ricerca sugli usi e gratificazioni è chiedere ai soggetti quanto importante è per essi un certo bisogno e in che misura per soddisfarlo usano un particolare mezzo di comunicazione. Però i resoconti personali possono fornire immagini stereotipate del consumo più che descrivere reali processi di fruizione. È necessario quindi integrare tali dati con altri provenienti da fonti diverse. I mass media non sono l’unica fonte di soddisfazione, anzi talvolta la comunicazione di massa è usata come ripiego in assenza di alternative funzionali più adeguate. Si può dire dunque che – almeno nella sua versione iniziale – l’ipotesi degli “usi e gratificazioni” tende ad accentuare un’idea di audience come insieme di individui scissi dal contesto e dall’ambiente sociale che invece modella le loro stesse esperienze, e quindi i bisogni e i significati attribuiti al consumo dei diversi generi comunicativi. Si tratta cioè di un approccio tanto più attento agli aspetti individualistici quanto più è rivolto ai processi soggettivi di gratificazione dei bisogni. Rosengren (1974) delinea il paradigma di questo tipo di ricerca, individuandone le variabili fondamentali, rappresentabili graficamente: L’ipotesi degli “usi e gratificazioni” ha avuto soprattutto il merito di accelerare l’obsolescenza del modello comunicativo informazionale da un lato, e di ancorare alla ricerca empirica la teoria funzionalista dei media dall’altro. La teoria critica – la teoria critica si identifica storicamente nel gruppo di studiosi che ha fatto capo all’Institut für Sozialforschung di Francoforte (1923). Il tentativo principale è quello di salare l’atteggiamento critico nei confronti della scienza e della cultura, con la proposta politica di una riorganizzazione razionale della società, in grado di superare la crisi della ragione. L’identità centrale della teoria critica si configura da un lato come costruzione analitica dei fenomeni che essa indaga, dall’altro lato come capacità di riferire tali fenomeni alle forze sociali che li determinano. La ricerca sociale praticata dalla teoria critica si propone come teoria della società intesa come un tutto: di qui la polemica costante contro le discipline settoriali. La teoria critica afferma il proprio orientamento verso la critica dialettica dell’economia politica. Secondo la teoria critica, ogni scienza sociale che si riduca a mera tecnica di ricerca, di raccolta, di classificazione dei dati “oggettivi” si preclude la possibilità di verità, in quanto programmaticamente ignora le proprie mediazioni sociali. La teoria critica si propone di realizzare una teoria della società che implichi una valutazione critica della propria costruzione scientifica. Il termine industria culturale viene usato da Horkheimer e Adorno come “trasformazione del progresso culturale nel suo contrario”. “Film, radio e settimanali costituiscono un sistema. Ogni settore è armonizzato in sé e tutti fra loro”. Il mercato di massa impone standardizzazione e organizzazione; i gusti del pubblico e i suoi bisogni impongono stereotipi e bassa qualità. La stratificazione dei prodotti culturali secondo la loro qualità estetica o il loro impegno è perfettamente funzionale alla logica dell’intero sistema produttivo. La macchina dell’industria culturale ruota sul posto: determina essa stessa il consumo ed esclude tutto ciò che è nuovo, che si configura come rischio inutile, avendo eletto a primato l’efficacia dei suoi prodotti. Adorno: nell’era dell’industria culturale l’individuo non decide più autonomamente, il conflitto tra impulsi e coscienza è risolto con l’adesione acritica ai valori imposti. L’uomo è in balìa di una società che lo manipola a piacere. La totalità del processo sociale è irrimediabilmente persa di vista, occultata: l’apologia della società è intrinsecamente connessa all’industria culturale. L’ubiquità, la ripetitività e la standardizzazione dell’industria culturale fanno della moderna cultura di massa un mezzo di inaudito controllo psicologico. Più indistinto e diffuso sembra essere il pubblico dei moderni mass media, più i mass media tendono a ottenere la loro “integrazione”. Costruiti apposta per un consumo distratto, non impegnativo, questi prodotti riflettono, in ognuno di loro, il modello del meccanismo economico che domina il tempo del lavoro e quello del non-lavoro, ciascuno di essi ripropone la logica della dominazione che non si potrebbe ascrivere come effetto del singolo frammento, ma che è propria invece di tutta l’industria culturale e del ruolo che essa occupa nella società industriale avanzata. La musica leggera o popolare è costruita in modo tale che il processo di traduzione dell’unicità in una norma è già tutto pianificato e raggiunto nella composizione stessa. Non è solo la musica, ovviamente, a subire una simile perdita di espressività: una sorta di “easy listening” avviene anche negli altri linguaggi. Se la “lettura come atto di percezione e di appercezione porta probabilmente con sé un certo tipo di interiorizzazione, la visualizzazione dei moderni mass media si orienta verso la esternalizzazione” (Adorno, 1954). I mass media non sono semplicemente la somma totale delle azioni che descrivono o dei messaggi che si irradiano da queste azioni. I mass media consistono anche in vari significati sovrapposti l’uno all’altro: tutti collaborano al risultato. La struttura multistratificata dei messaggi riflette la strategia di manipolazione dell’industria culturale: “il messaggio nascosto può essere più importante di quello evidente, poiché questo […] non sarà evitato dalle resistenze psicologiche nei consumi, ma probabilmente penetrerà il cervello degli spettatori” (Adorno). Naturalmente i rapporti tra i diversi livelli (manifesti e latenti) dei messaggi sono tutt’altro che semplici da cogliere e da studiare, ma non sono comunque casuali né privi di finalità. La manipolazione del pubblico passa dunque nel mezzo televisivo mediante effetti che si realizzano sui livelli latenti dei messaggi. La strategia di dominio dell’industria culturale viene dunque da lontano e dispone di molteplici tattiche. Una di esse consiste nella stereotipizzazione. Gli stereotipi sono un elemento indispensabile per organizzare e anticipare le esperienze della realtà sociale che il soggetto compie. La divisione del contenuto televisivo in diversi generi ha portato allo sviluppo di formule rigide, fisse, importanti perché definiscono il modo in cui sarà percepito qualunque contenuto specifico. Così la gente può non solo perdere la vera comprensione della realtà, ma può avere fondamentalmente indebolita la capacità di intendere l’esperienza della vita dal costante uso di occhiali fumé (Adorno, 1954). La teoria critica, quando analizza l’industria culturale, ne esplicita soprattutto la tendenza a trattare la mentalità delle masse come un dato immutabile, come un presupposto della propria esistenza. La ricerca sui mezzi di comunicazione di massa appare fortemente inadeguata, perché si limita a studiare le condizioni presenti, finendo con l’inchinarsi al monopolio dell’industria culturale. Succede così che la ricerca si occupi sostanzialmente di come manipolare le masse o di come raggiungere al meglio determinati scopi interni al sistema esistente. Secondo la teoria critica occorre mettere in discussione gli scopi: per esempio, se la ricerca “amministrativa” si pone il problema di come riuscire ad allargare, attraverso i media, l’ascolto della buona musica, la teoria critica sostiene che “non si dovrebbe studiare l’atteggiamento degli ascoltatori, senza considerare quanto tali atteggiamenti riflettano più ampi schemi di comportamento sociale e, ancor più, quanto vengono condizionati dalla struttura della società considerata come un insieme”. Se ciò che trionfa è lo pseudo-individualismo che in realtà maschera la supina accettazione dei valori imposti, fare affidamento sugli spettatori come attendibili fonti di conoscenze reali significa velare ogni possibilità di comprensione. Il contrasto tra le due tendenze della ricerca comunicativa è dunque di fondo e nasce in primo luogo dal profilo globale della teoria critica. Da questa radicale diversità discende una differente concezione dei media stessi: per la teoria critica si tratta di strumenti della riproduzione di massa, che ripropongono i rapporti di forza dell’apparato economico e sociale. Dalla ricerca amministrativa essi sono interpretati invece come “strumenti usati per raggiungere determinati scopi […] in ogni caso la ricerca ha il compito di rendere lo strumento comunicativo più comprensibile e conosciuto per chi lo vuole usare per una finalità specifica, in modo da facilitarne l’uso. Se la ricerca amministrativa più attenta e consapevole tende a “operativizzare” la teoria critica, snaturandola, gli equivoci non mancano però nemmeno dall’altra parte, soprattutto nell’interpretazione della ricerca amministrativa che gli epigoni della teoria critica hanno diffuso. La ricerca amministrativa è attenta al contesto storico e sociale di sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, ed è capace anche di dare rilievo teorico al proprio modo di impostare i problemi. Per la teoria critica questo tipo di analisi è irrilevante o accessorio, essendo già implicito nella descrizione della dinamica fondamentale della società industriale capitalistica. La distanza tra teoria critica e ricerca amministrativa ha finito così per allargarsi al di là della configurazione iniziale, e per cristallizzare una differenziazione teorica che invece era e rimane feconda e problematica. Attualmente il superamento della contrapposizione avviene lungo le seguenti due coordinate: a) la prima è relativa ad alcuni problemi che di fatto impongono un tipo di concettualizzazione del campo mediologico che scavalca i termini del contrasto (per esempio la questione degli effetti a lungo termine dei media); b) la seconda coordinata è relativa al superamento di un dato che implicitamente accomunava la teoria critica e la ricerca amministrativa, cioè il loro riferirsi a una teoria informazionale dei processi comunicativi. A mano a mano che il paradigma della teoria dell’informazione è stato soppiantato, nuovi oggetti di conoscenza si sono affermati e problemi tradizionali hanno potuto essere posti in termini diversi, modificando l’arroccamento degli approcci. La teoria culturologica – un’altra area di interessi e di riflessione, anch’essa opposta alla communication research, si veniva elaborando soprattutto nella cultura francese. Si tratta della cosiddetta teoria culturologica: la sua caratteristica fondamentale è di studiare la cultura di massa, individuandone gli elementi antropologici più rilevanti e il rapporto che in essa si instaura tra il consumatore e l’oggetto di consumo. L’oggetto di analisi programmaticamente perseguito è la definizione della nuova forma di cultura della società contemporanea. Il pioniere di questo filone di studi è Edgar Morin (1962), secondo lui l’ottica indicante comunicazione di massa impedisce di cogliere il problema “cultura di massa”. La cultura di massa è “una realtà che non può essere sviscerata che con un metodo, quello della totalità”. L’obiettivo di Morin è quello di elaborare una sociologia della cultura contemporanea. Di fatto però ciò che Morin propone è una fenomenologia sistematica supportata da una ricerca empirica. Nella cultura di massa l’oggetto è strettamente legato al suo carattere di prodotto industriale e al suo ritmo di consumo quotidiano. In primo luogo si configura la contraddizione tra le esigenze produttive-tecniche di standardizzazione e la natura individualizzata e innovativa del consumo culturale. Un carattere generale e complessivo della cultura di massa si specifica ulteriormente quando si applica a un mezzo e un genere particolari: questo meccanismo rappresenta un punto di forza della cultura di massa stessa, garantendone l’elevata capacità di adattamento a pubblici e contesti sociali diversi. L’opposizione tra processi di standardizzazione produttiva ed esigenze di individualizzazione si tempera in una specie di linea mediana: “sincretismo è il termine più adatto a rendere la tendenza a omogeneizzare sotto un comune denominatore la diversità dei contenuti” (Morin, 1962). Il sincretismo genera importanti conseguenze, come ad esempio la tendenziale omogeneizzazione tra i due grandi settori della cultura di massa: l’informazione e la fiction. La definizione di ciò che fa notizia e il rilievo attribuito ai fatti di cronaca sono la conseguenza di due tendenze profonde che percorrono la cultura di massa: da un lato la dinamica tra standardizzazione e innovazione, dall’altro il sincretismo e la contaminazione tra reale e immaginario. Un’altra caratteristica fondamentale della cultura di massa è il nuovo pubblico che la fruisce. Al di là delle differenziazioni si delinea un terreno comune, un’identità che costituisce il sostrato della cultura di massa: è l’identità dei valori di consumo. La legge fondamentale della cultura di massa è quella del mercato. “Il vero problema è quello della dialettica tra il sistema di produzione culturale e i bisogni culturali dei consumatori” (Morin, 1962). La cultura di massa si pone come un’etica del loisir: il consumo dei prodotti diventa insieme autoconsumo della vita individuale e autorealizzazione. La cultura di massa, rendendo irreale una parte di vita dei consumatori, finisce per trasformare lo spettatore in un fantasma proiettando “il suo spirito nella pluralità degli universi immaginati o immaginari, disperdendo la sua anima negli innumerevoli doppi che vivono per lui”. I “cultural studies” – Nella tendenza generale ad accentuare l’attenzione sulle strutture sociali e sul contesto storico in quanto fattori essenziali per comprendere l’azione dei media, un momento specifico che ha marcato peculiarmente tale indirizzo è rappresentato dai cultural studies. La teoria mediologica nota con questo nome si profila tra la metà degli anni ’50 e i primi anni ’60 in Inghilterra. L’interesse dei cultural studies è rivolto soprattutto ad analizzare una forma specifica di processo sociale, relativa all’attribuzione di senso alla realtà, allo sviluppo di una cultura, di pratiche sociali condivise, di un’area comune di significati. L’obiettivo dei cultural studies è di definire lo studio della cultura propria della società contemporanea come un ambito di analisi concettualmente rilevante, pertinente e teoricamente fondato. Un’adeguata sociologia delle comunicazioni di massa deve porsi lo scopo di rendere conto della dialettica che si instaura tra il sistema sociale, la continuità e le trasformazioni del sistema culturale, il controllo sociale. L’effetto ideologico complessivo della riproduzione del sistema culturale operata attraverso i mass media si evidenzia dall’analisi delle varie determinazioni (interne ed esterne al sistema delle comunicazioni di massa) che vincolano o liberano i messaggi dei media entro e attraverso le pratiche produttive. Di tali pratiche viene esplicitata soprattutto la natura standardizzata, riduttiva, che favorisce lo statu quo, ma anche insieme contraddittoria e variabile. I cultural studies tendono a specificarsi in due “applicazioni” diverse: da un lato i lavori sulla produzione dei media in quanto sistema complesso di pratiche determinanti per l’elaborazione della cultura e dell’immagine della realtà sociale; dall’altro lato gli studi sul consumo della comunicazione di massa in quanto luogo di negoziazione tra pratiche comunicative estremamente differenziate. I cultural studies si oppongono alla teoria cospirativa dei media  alcuni elementi fanno dei mass media un puro e semplice strumento di egemonia e di cospirazione della élite del potere. Contro questa versione i cultural studies riaffermando la centralità dei costrutti culturali collettivi come agenti della continuità sociale, ne enfatizzano però la natura complessa ed elastica. I cultural studies ribadiscono la continua dialettica tra sistema culturale, conflitto e controllo sociale. Il problema fondamentale dell’approccio dei cultural studies è quello di analizzare sia la specificità delle diverse pratiche di produzione di cultura, sia le forme del sistema articolato e complessivo cui tali pratiche danno vita.

sabato 5 maggio 2012

Informazioni

Informazioni. Insieme coerente di proposizioni e/o "testi", ipotesi di "notizie" veicolabili e acquisizioni di dati "verificati". Le informazioni sono le "informazioni disponibili" ? Quale il ruolo della "critica" ? La teoria ipodermica sostiene che “ogni membro del pubblico di massa è personalmente e direttamente attaccato dal messaggio”. Si sviluppa nel periodo tra le due guerre, in particolare con la diffusione delle comunicazioni di massa e con l’uso strumentalizzato della propaganda durante i regimi. La componente principale della teoria ipodermica è la presenza esplicita di una “teoria” della società di massa. Questa teoria offre un ruolo di primo piano alla propaganda. Il concetto di società di massa è fondamentale per la comprensione della teoria ipodermica. A proposito di uomo e di massa, Ortega y Gasset descrive nell’uomo-massa l’antitesi dell’umanista colto. Egli afferma che la massa travolge tutto ciò che è differente, singolare, individuale, qualificato e selezionato. La massa è costituita da un aggregato omogeneo di individui che sono sostanzialmente uguali, non distinguibili, anche se provengono da ambienti diversi, eterogenei e da tutti i gruppi sociali. È composta da persone che non si conoscono. È priva di tradizioni, regole di comportamento, leadership e struttura organizzativa. Questa definizione di massa enfatizza l’elemento centrale della teoria ipodermica, cioè il fatto che gli individui sono distaccati, isolati, anonimi, atomizzati. Gli individui, in quanto componenti della massa, sono esposti a messaggi che vanno al di là della loro esperienza, che non coincidono necessariamente con le regole del gruppo di cui l’individuo fa parte (Blumer). È dunque questo fattore dell’isolamento fisico e “normativo” dell’individuo nella massa a spiegare in gran parte il rilievo che la teoria ipodermica attribuisce alle capacità manipolatorie dei primi mezzi di comunicazione di massa.

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